Il 1° febbraio 1893 veniva ucciso Emanuele Notarbartolo di San Giovanni, prima vittima eccellente della mafia.
Il marchese di San Giovanni nasce in una famiglia aristocratica palermitana il 23 febbraio 1834, ma presto rimane orfano di entrambi i genitori. Cresciuto in Sicilia, nel 1857 si trasferisce prima a Parigi, poi in Inghilterra, dove conosce Michele Amari e Mariano Stabile, due esuli siciliani che lo influenzeranno molto. Avvicinatosi all'economia e alla storia, diventa sostenitore del liberalismo conservatore (quindi vicino alla Destra storica). Dal 1862 Emanuele Notarbartolo diventa prima reggente, poi titolare, del Banco di Sicilia.
Arruolatosi con l'esercito dei Savoia, si aggrega anche alla spedizione dei Mille con Giuseppe Garibaldi. Nel 1865 lascia l'esercito e diventa assessore alla polizia urbana a Palermo, con Antonio Starrabba, marchese di Rudinì, come sindaco. L'insurrezione della città nel 1866 travolge l'intera classe dirigente e la conseguente sconfitta elettorale allontana per un periodo Notarbartolo dalla politica. Dal 1870 al 1873 è responsabile dell'ospedale, poi il 26 ottobre 1873 viene eletto sindaco di Palermo. Rimane in carica fino al 30 settembre 1876. Durante il suo governo, attua varie opere urbanistiche ed è tra i promotori della costruzione del Teatro Massimo di Palermo. Ma, soprattutto, cercò di debellare il fenomeno della corruzione alle dogane
Dal 1876 si occupa a tempo pieno del Banco di Sicilia, cercando con la sua autorità di riorganizzare il sistema bancario che era stato scosso dopo l'Unità d'Italia. Inoltre il Banco di Sicilia è sull'orlo del fallimento, e l'opera di Notarbartolo evita di far collassare l'economia siciliana. Il suo lavoro al Banco di Sicilia inizia ad inimicargli molta gente. Il consiglio della banca è composto principalmente da politici, molti dei quali legati alla mafia locale. Per di più, durante il governo Depretis, gli vengono affiancati due personaggi a lui ostili, tra cui il parlamentare Raffaele Palizzolo. Il deputato era colluso con la mafia locale da anni e le sue speculazioni avventate avevano creato non pochi screzi con Notarbartolo.
Nel 1882 il marchese fu sequestrato per un breve periodo. Il 1º febbraio 1893, nel tragitto in treno tra Termini Imerese e Trabia, venne ucciso con 27 colpi di pugnale da Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, legati alla mafia siciliana.
Per cercare di capire questo fatto di sangue che, per la prima volta, aveva visto come protagonisti un uomo politico e la mafia, è necessario chiedersi chi fosse Notarbartolo e quale fosse il suo ruolo nel contesto storico politico siciliano e italiano.
Notarbartolo era un politico siciliano, della destra storica, uomo ritenuto eccellente per onestà e abilità amministrativa. Marchese di San Giovanni, discendente dei duchi di Villarosa, Emanuele Notarbartolo fu sindaco di Palermo dal 1873 al 1876 e durante il suo mandato trasformò la città in un grande cantiere completando il mercato degli Aragonesi, la copertura del Politeama, iniziando l’ammodernamento della rete viaria, collegando la stazione centrale con il porto, e posando la prima pietra per la realizzazione del teatro Massimo. Ma soprattutto durante il suo mandato e nonostante il fermento edilizio, combatté il fenomeno della corruzione e risanò le finanze comunali, attirandosi per questo molti nemici i quali cercarono in ogni modo di isolarlo. Alla fine del suo mandato, nel 1876, Notarbartolo viene nominato direttore del Banco di Sicilia, incarico che manterrà sino al 1890, dimostrando anche in questo ruolo onestà ed integrità morale e grandi competenze amministrative .
La situazione del Banco di Sicilia all’arrivo di Notarbartolo era disastrosa e l’istituto si trovava sull’orlo del fallimento per via di speculazioni azzardate e un’amministrazione spericolata, che aveva permesso l’utilizzo agli speculatori di un capitale di otto milioni e ottocento mila lire e di una riserva aurea di tredici milioni. Per risanare l’istituto, Notarbartolo introdusse un regime di austerità, invitando i direttori delle sedi a far rientrare i clienti scoperti e a consentire crediti solo ai titoli protetti da solide garanzie. Non solo, ma permise di denunciare i nomi degli speculatori all’allora Ministro dell’Agricoltura Miceli. Allo stesso tempo apportò modifiche allo statuto dell’istituto, in modo da allontanare le componenti politiche in favore di quelle essenzialmente commerciali. Questo inasprì ancora di più gli animi dei suoi nemici e soprattutto di don Raffaele Palizzolo. Chi era costui? Era un pezzo da novanta e un membro del Consiglio d'amministrazione del Banco di Sicilia, con cui il marchese Notarbartolo si era più volte scontrato in passato, per aver cercato di ostacolarne le spregiudicate operazioni finanziarie. Palizzolo, soprannominato “U cignu” (il cigno) era un politico ed uomo di spicco: consigliere comunale e provinciale, amministratore fiduciario di enti di beneficenza e di banche, direttore del fondo di assicurazione contro le malattie per la Marina Mercantile, capo della Sovrintendenza dell'amministrazione di un manicomio, nonché deputato da sempre fedele sostenitore di governi di qualsiasi raggruppamento. Passando indifferentemente da destra a sinistra come ben si conviene a chi ambisce al potere personale. Così facendo, da ricco proprietario ed affittuario di terre, si era ancor più arricchito ed aveva messo le mani in pasta in qualsiasi affare. Palizzolo era al tempo stesso amico di mafiosi e banditi, di poliziotti, magistrati e personaggi politici di grosso calibro. Come un antico senatore romano, era solito ricevere ogni mattina nella sua camera da letto tutti coloro che avessero richieste da fargli.