Negli ultimi anni, l’inflazione è tornata a livelli che non si vedevano da decenni, superando l’8% nel 2022. Lasciare i soldi fermi sui conti correnti è diventato estremamente pericoloso: mentre l’inflazione cresce, i conti rendono mediamente solo lo 0,3% annuo. Risultato: il potere d’acquisto si erode rapidamente.
Per esempio, 100.000 euro lasciati sul conto nel 2022 hanno perso circa 8.000 euro di valore reale in un solo anno.
Il discorso si complica se guardiamo le cose da una prospettiva pluriennale. Lo sapevi che un tasso di inflazione del 2% appena è in grado di distruggere metà della tua ricchezza netta in “soli” 35 anni?
Molti, soprattutto over 50, preferiscono non investire per paura della volatilità dei mercati o per sfiducia verso strumenti che conoscono poco. Ciò è particolarmente vero dopo un momento di crollo dei mercati.
Tuttavia, l’inazione oggi è un rischio concreto: il capitale si consuma lentamente senza che ce ne si accorga.
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Le banche, che dovrebbero guidare i clienti, spesso non hanno interesse a farlo. Gli intermediari, infatti, guadagnano commissioni più alte se vendono prodotti propri o spingono a mantenere la liquidità.
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L'articolo La trappola del denaro fermo: come l’inflazione sta erodendo i tuoi risparmi proviene da Segreti Bancari.
L’economia globale attraversa un periodo delicato, tra tensioni geopolitiche, nuove politiche commerciali e prospettive di crescita modeste. In molti si chiedono se stiamo andando incontro a una crisi paragonabile a quella del 1929. Ma è davvero così?
Scopriamo insieme cosa accomuna (e cosa differenzia) la situazione attuale rispetto alla Grande Depressione e cosa possiamo imparare per proteggere i nostri investimenti.
Dopo lo shock della pandemia da COVID-19 e l’inflazione del 2022-2023, l’economia globale sta cercando un equilibrio. L’Italia, ad esempio, nel 2024 ha registrato una crescita del PIL dello 0,7%, con una previsione dello 0,8% per il 2025 (fonte: ISTAT).
Tuttavia, nuove nubi si addensano all’orizzonte:
Il risultato? Una crescita fragile, disomogenea e condizionata da fattori esogeni difficili da controllare.
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La crisi del ’29 segnò l’inizio della Grande Depressione, la più profonda recessione della storia moderna. Dopo anni di crescita spinta dall’industrializzazione e dalla speculazione finanziaria, il crollo della Borsa di New York fece esplodere una catena di fallimenti bancari, disoccupazione di massa e calo della produzione.
Le cause principali furono:
Tra il 1929 e il 1933, il Dow Jones perse circa il 90% del suo valore, e la disoccupazione raggiunse il 25%.
Pur con alcune analogie, la crisi attuale è profondamente diversa da quella del ’29:
Aspetto | Crisi del 1929 | Crisi attuale 2020–2025 |
---|---|---|
Causa scatenante | Crollo della Borsa e speculazione | Pandemia, politiche restrittive e tensioni geopolitiche |
Ruolo delle banche | Fallimenti a catena, nessuna protezione | Sistema più solido e regolamentato |
Interventi pubblici | Assenti o tardivi | Massicci: BCE, FED, Recovery Fund |
Contesto globale | Autarchia, protezionismo | Economia interconnessa |
Risposta monetaria | Inesistente | Politiche espansive e successiva stretta |
Oggi il sistema è più regolamentato, ma non privo di rischi:
Chi investe nel lungo periodo deve distinguere tra rumore di fondo e cambiamenti strutturali. La storia non si ripete, ma fa rima.
Ecco alcune regole sempre valide:
La crisi attuale non è un nuovo 1929. E chi urla al disastro spesso ha altri scopi.
I problemi ci sono, ma anche le soluzioni. Il punto non è prevedere il prossimo crollo, ma costruire portafogli robusti, coerenti con i tuoi obiettivi e indipendenti dalle mode del momento.
In un mondo che cambia, restano valide le regole di buon senso, indipendenza e visione di lungo termine. Ed è proprio quello che facciamo ogni giorno in Segreti Bancari.
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L'articolo Crisi del 1929 e crisi attuale: analogie, differenze e strategie per investire oggi proviene da Segreti Bancari.
Nel mondo degli investimenti, i dazi rappresentano uno di quei temi che ciclicamente tornano a dominare i titoli di giornale e, di conseguenza, a influenzare i mercati. Al di là delle semplificazioni mediatiche, il loro impatto è spesso più complesso di quanto sembri: non si tratta solo di una questione politica o diplomatica, ma di un vero e proprio fattore di distorsione per l’equilibrio tra produzione, commercio e prezzi globali.
Quando si parla di dazi, l’investitore esperto dovrebbe farsi due domande fondamentali:
In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande con un approccio tecnico ma operativo, evitando i catastrofismi da prima pagina. Perché la vera protezione, anche in scenari complessi, non si ottiene reagendo d’impulso, ma costruendo portafogli coerenti con i propri obiettivi e ben diversificati.
L’annuncio dei dazi da parte dell’amministrazione Trump, ribattezzato da alcuni media come Liberation Day, ha offerto un esempio evidente di come i mercati reagiscano in modo violento a eventi percepiti come shock. In quel frangente, gli indici azionari statunitensi hanno registrato cali marcati: l’S&P 500, il Nasdaq, il Dow Jones e il Russell 2000 hanno chiuso in forte ribasso. Anche le quotazioni del petrolio — sia negli Stati Uniti che a livello globale — hanno subito una contrazione.
In termini tecnici, si è trattato di un repricing improvviso del rischio, con gli operatori che hanno scontato una possibile frenata del commercio internazionale, aumento dei costi per le imprese e, in prospettiva, una crescita economica più debole.
Questa dinamica ha portato con sé un incremento della volatilità implicita (misurata ad esempio dal VIX), che tende a salire nei momenti in cui l’incertezza aumenta e le correlazioni tra asset si indeboliscono.
La lezione operativa? Il mercato sconta rapidamente le cattive notizie, ma raramente nella direzione che immaginiamo. Reagire vendendo in fretta può voler dire cristallizzare le perdite e perdere eventuali rimbalzi successivi, che storicamente non tardano ad arrivare.
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Non tutti i titoli e settori reagiscono allo stesso modo quando entrano in gioco i dazi. Le aziende con catene di approvvigionamento complesse, distribuite a livello globale — in particolare quelle esposte al commercio con la Cina o con economie asiatiche — tendono a soffrire di più. È il caso di alcuni grandi nomi della tecnologia, ma anche di realtà come Restoration Hardware (RH), fortemente dipendente da fornitori asiatici, che ha subito cali rilevanti.
Tra i settori più penalizzati troviamo:
Dall’altra parte, alcuni comparti si sono rivelati più resilienti, se non addirittura in crescita:
In contesti come questi, il valore dell’analisi settoriale torna a essere centrale. Un portafoglio ben costruito dovrebbe saper combinare crescita e difesa, evitando concentrazioni eccessive in titoli o aree vulnerabili a decisioni politiche o cambi di scenario macroeconomico.
L’investitore accorto sa che la cronaca va sempre letta con le lenti della storia. I dazi, per quanto impattanti sul breve periodo, non sono una novità nel panorama economico. Le guerre commerciali sono strumenti ricorrenti in fasi di riequilibrio geopolitico, e la loro efficacia — dal punto di vista economico — è spesso dubbia.
Un caso emblematico è quello dello shutdown americano tra il 2018 e il 2019, coinciso con altre tensioni commerciali. Anche in quel frangente, i mercati reagirono negativamente all’inizio, salvo poi recuperare terreno nei mesi successivi. Questo perché l’economia reale, nella maggior parte dei casi, si adatta ai nuovi equilibri più velocemente di quanto non facciano i portafogli di chi investe in modo impulsivo.
In altre parole, il mercato sconta sempre il peggio. Ma spesso lo fa in modo eccessivo, offrendo a chi ha sangue freddo — e una struttura patrimoniale ben costruita — l’occasione di acquistare asset a prezzi più interessanti.
Il contesto di dazi e incertezza è un banco di prova ideale per testare la qualità dell’asset allocation. Piuttosto che inseguire l’ultima notizia o rincorrere titoli “di moda”, è fondamentale chiedersi: il mio portafoglio è costruito per resistere a scenari imprevedibili?
Le risposte operative passano da qui:
In presenza di dazi, il vero rischio non è il mercato in sé, ma l’errore comportamentale dell’investitore. Reagire d’istinto, sovrappesare i titoli apparentemente “vincenti” o sottovalutare l’importanza della diversificazione sono scelte che possono minare la stabilità di un portafoglio nel tempo.
Chi ha una strategia di asset allocation robusta, coerente con i propri obiettivi e costruita su basi razionali, non deve temere l’impatto dei dazi. Al contrario, può cogliere opportunità dove altri vedono solo rischio.
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L'articolo Dazi e mercati finanziari: cosa succede davvero e come investire con buon senso proviene da Segreti Bancari.
La volatilità estrema che sta caratterizzando i mercati finanziari nel 2025 ha fatto riaffiorare timori e incertezze tra gli investitori. Si parla persino di un crollo mercati 2025, un’espressione che rimbalza su notiziari e social alimentando l’ansia di chi teme di vedere svanire in poco tempo una parte dei propri risparmi. Di fronte a indici in picchiata e titoli allarmistici, anche investitori tecnicamente esperti possono sentirsi emotivamente vulnerabili, travolti da reazioni impulsive e dal panico generale.
Eppure è proprio in fasi come queste che si misura la vera resilienza finanziaria. Resistere alla tentazione di vendere tutto in preda al panico e mantenere la calma richiede disciplina, ed è questa qualità che distingue l’investitore di successo. È fondamentale capire quali comportamenti irrazionali evitare, fare tesoro delle lezioni storiche e applicare alcuni principi di resilienza finanziaria. Così sarà possibile affrontare il crollo dei mercati del 2025 con lucidità e determinazione, evitando il panico e mantenendo una visione strategica di lungo termine.
La prima reazione di fronte a un crollo di mercato è spesso dettata dall’emotività più che dalla razionalità. Quando vediamo i valori del nostro portafoglio scendere rapidamente, scatta un istinto di autoprotezione: vendere tutto e uscire dal mercato per evitare perdite ulteriori. Questo impulso è umano e comprensibile – la paura è un meccanismo naturale – ma applicato agli investimenti rischia di portare a decisioni poco sagge. Sotto l’effetto del panico, anche investitori navigati possono accantonare la lucidità e seguire la massa nelle vendite indiscriminate.
Tra i comportamenti tipici (e irrazionali) osservati durante un crollo troviamo:
• Vendere in preda al panico – Molti liquidano i propri investimenti dopo un forte ribasso, trasformando perdite temporanee in perdite permanenti e rinunciando al recupero quando i prezzi rimbalzeranno.
• Tentare di fare market timing – Spinti dalla paura, alcuni vendono tutto con l’idea di ricomprare più in basso. Ma prevedere il minimo è quasi impossibile: chi esce rischia di rientrare tardi perdendo il rimbalzo iniziale e compromettendo i rendimenti futuri.
• Effetto gregge e rumore mediatico – Le notizie allarmistiche amplificano il pessimismo e offuscano la capacità di giudizio, spingendo molti a imitare la massa senza un’analisi oggettiva. Così si finisce per agire sulla scia del panico anziché seguire una strategia ragionata.
• Dimenticare gli obiettivi di lungo termine – Nel pieno della crisi ci si concentra solo sul crollo in atto e ci si dimentica degli obiettivi finanziari a lungo termine. Questa miopia può portare a cambi di strategia avventati, in contrasto con il piano costruito a mente fredda.
Prendere coscienza di queste reazioni istintive è già un primo passo per evitarle. Invece di farsi guidare dalla paura, occorre fare un passo indietro e analizzare la situazione con lucidità, ricordando che le decisioni prese sull’onda emotiva sono raramente vincenti. La buona notizia è che la storia dei mercati offre conforto: dopo ogni crollo, per quanto grave, c’è sempre stata una ripresa. E coloro che hanno mantenuto la calma nelle fasi peggiori, in genere ne hanno tratto beneficio quando la tempesta è passata.
Guardando alle crisi del passato troviamo esempi concreti del valore della resilienza durante un crollo. La crisi finanziaria del 2008 e il crollo lampo legato alla pandemia del 2020 sono due casi emblematici. Nel 2008 i mercati globali persero oltre il 50% del loro valore in pochi mesi; eppure chi evitò di vendere in panico vide le proprie posizioni tornare in pari e poi crescere negli anni successivi con la ripresa. Ancora più sorprendente fu la brusca caduta di marzo 2020: in poche settimane gli indici azionari crollarono di circa un terzo, ma recuperarono completamente nel giro di pochi mesi, premiando gli investitori che erano rimasti calmi e fiduciosi nonostante la paura generale. Al contrario, chi disinvestì durante quei crolli bloccò le perdite e mancò la successiva risalita dei mercati, finendo per rimpiangere le vendite affrettate.
Questo andamento – crollo seguito da recupero – si è ripetuto più volte nella storia. La lezione è chiara: i ribassi dei mercati sono temporanei, mentre la crescita di lungo termine tende sempre a prevalere.
Da questi episodi storici emergono alcuni principi chiave di resilienza finanziaria che ogni investitore dovrebbe tenere a mente nelle fasi di crisi:
• Mantenere la prospettiva a lungo termine – Le fluttuazioni di breve periodo fanno meno paura se inquadrate su un orizzonte più ampio: ciò che conta è la traiettoria generale negli anni, non le oscillazioni di qualche mese. Questa consapevolezza aiuta a ridimensionare l’impatto emotivo dei ribassi.
• Diversificare il portafoglio – La diversificazione è fondamentale per limitare i danni. Distribuendo gli investimenti su più asset class (azioni di settori diversi, obbligazioni, liquidità, ecc.) il portafoglio risulta più resiliente, attenuando le perdite e preparando il terreno per la ripresa.
• Attenersi al piano prestabilito – Se hai definito una strategia d’investimento adatta al tuo profilo, stravolgerla nel mezzo di una crisi è spesso un errore. Un buon piano prevede anche momenti negativi: seguirlo con disciplina, senza farsi deviare dal panico, è fondamentale per superare la tempesta.
• Cogliere opportunità in modo graduale – “Non bisogna mai sprecare una buona crisi”, diceva Winston Churchill. Se la tua situazione lo consente, un crollo può offrire l’occasione di investire a prezzi più bassi. Non si tratta di mosse azzardate, ma di valutare con prudenza qualche acquisto graduale di asset di qualità a prezzi scontati. Chi lo fa con criterio potrà raccogliere i frutti quando il mercato si riprenderà.
La storia, in sostanza, insegna che mantenere la rotta paga. Chi non si lascia sopraffare dal panico durante un crollo finisce per trasformare quelle settimane difficili in un ricordo, mentre il patrimonio si riprende e torna a crescere. Mettere in pratica questi principi durante la tempesta del 2025 significa affrontare al meglio quello che molti definiscono il crollo mercati 2025, trasformandolo in un capitolo superato anziché in una ferita permanente nel proprio percorso finanziario.
La disciplina e la visione strategica diventano fondamentali proprio nei momenti di crisi. Di fronte a un mercato in caduta, la disciplina significa attenersi alle proprie regole senza cedere a scelte impulsive, mentre la visione strategica implica guardare oltre l’orizzonte immediato della crisi mantenendo chiari gli obiettivi finali.
Affrontare un crollo di mercato è un po’ come navigare in una tempesta: il capitano esperto non abbandona il timone, ma segue la rotta stabilita finché la burrasca non passa. Allo stesso modo, l’investitore accorto resta saldo, protetto dalla propria strategia, e continua il viaggio verso le proprie mete finanziarie. In questa ottica, non arrendersi mai è il mantra dell’investitore resiliente, che attraversa i periodi più bui nella consapevolezza che dopo la notte torna sempre il giorno sui mercati.
La tempra dimostrata durante il crollo dei mercati del 2025 sarà ricompensata. Chi avrà resistito guarderà a questa fase come a una prova superata, a conferma della validità della propria strategia di investimento. In definitiva, mantenere la disciplina e la visione strategica non è solo un buon proposito: è la strada maestra per trasformare la paura di oggi nelle opportunità di domani.
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P.S. ecco cosa stiamo facendo noi ora…
L'articolo Crollo mercati 2025: come resistere alla tempesta finanziaria con disciplina e strategia proviene da Segreti Bancari.
Dopo il crollo delle obbligazioni in lira turca e del cambio della valuta contro euro molti investitori si stanno domandando se non sia il caso di entrare. Ecco la nostra opinione, finalizzata a chi vuole investire concretamente e in modo redditizio nel lungo periodo senza farsi abbagliare da opportunità buone in apparenza ma deludenti nei fatti.
Investire nella lira turca (TRY) nel 2025 significa affrontare un mercato ad alto rischio e alta volatilità. La Turchia ha vissuto anni di forte inflazione e svalutazione valutaria: basti pensare che il cambio euro/lira è passato da circa 4,5 nel 2018 a oltre 41 nel marzo 2025. Ciò equivale a un crollo di oltre l’80% del valore della lira in meno di un decennio. Le cause sono legate a politiche economiche instabili, episodi di instabilità politica e finanziaria, e interventi inconsueti della banca centrale in passato. Eventi politici interni (ad esempio l’arresto di figure dell’opposizione) hanno inoltre innescato perdite improvvise di fiducia, con cali anche del -10% sul cambio in pochi giorni.
In questo contesto, la banca centrale turca ha dovuto invertire rotta: tra metà 2023 e fine 2024 i tassi d’interesse ufficiali sono stati aumentati dall’8,5% fino al 50% per contrastare l’inflazione, che aveva superato l’85% nell’ottobre 2022. Grazie a questa “cura da cavallo”, a fine 2024 l’inflazione annuale è scesa attorno al 44%, e la lira turca ha rallentato la sua caduta (nel 2024 si è deprezzata “solo” di circa +18% sull’euro) rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, con l’inflazione ancora elevata (~39% a febbraio 2025) la banca centrale ha iniziato a tagliare di nuovo i tassi (ridotti dal 50% al 42,5% entro marzo 2025), una mossa non ortodossa che alimenta interrogativi sulla stabilità futura.
In sintesi, investire in lire turche offre rendimenti nominali altissimi ma richiede di accettare un elevato rischio valutario. Vediamo nel dettaglio quali obbligazioni in TRY sono disponibili, i loro rendimenti, i rischi connessi e le possibili opportunità se la situazione dovesse stabilizzarsi, oltre a come accedervi come investitori retail e come si confrontano con altre valute emergenti.
Per esporsi alla lira turca con strumenti obbligazionari, un investitore retail può considerare principalmente bond denominati in TRY emessi da enti sovranazionali o istituzioni internazionali di alta affidabilità (rating AAA). Questi titoli presentano rischio di credito nullo o molto basso, lasciando all’investitore il solo rischio di cambio. Emittenti rilevanti nel 2025:
Queste obbligazioni sono spesso quotate sull’EuroMOT di Borsa Italiana o su mercati regolamentati accessibili tramite i principali broker italiani. I tagli minimi sono contenuti (1.000 o 10.000 TRY), rendendole accessibili anche a investimenti modesti. Tuttavia, la liquidità è limitata, e lo spread denaro-lettera spesso elevato.
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Nel 2025, i rendimenti offerti da queste obbligazioni sono eccezionalmente elevati, riflettendo i tassi interni turchi. Alcuni esempi:
Questi rendimenti sono impensabili su obbligazioni denominate in euro o dollari, e nettamente superiori anche rispetto ad altri mercati emergenti (es. peso messicano ~9%, rand sudafricano ~10-12%). Ma come vedremo, non esistono pasti gratis nei mercati finanziari.
Il rischio di cambio è il vero ago della bilancia. Anche rendimenti nominali del 40% possono essere azzerati da una svalutazione del 30-40% della lira turca. Alcuni esempi:
L’investimento ha senso solo per chi è pronto a mantenere il titolo fino a scadenza e spera in una stabilizzazione del cambio. È una scommessa sulla disinflazione e sulla disciplina della banca centrale turca. Ma se la svalutazione dovesse proseguire ai ritmi passati (mediamente -30% annuo), anche i rendimenti più elevati sarebbero erosi.
Secondo noi investire in obbligazioni in lire turche non è una scelta adatta a investitori che vogliono ottenere rendimenti stabili ed alti nel lungo periodo. Questi titoli, infatti. sembrano attraenti, ma rappresentano in realtà una scommessa ad altissimo rischio.
Le cedole generose servono a compensare solo in parte il rischio valutario, e non devono essere confuse con un “guadagno facile”. La nostra lunga esperienza ci dice che molti risparmiatori italiani hanno perso soldi in passato con questi strumenti, pur avendo ricevuto regolarmente gli interessi.
Se vuoi assumerti un rischio simile, tanto vale farlo con le azioni il cui premio per il rischio è più giustificato. La parte obbligazionaria del portafoglio, invece, deve proteggere il capitale o offrire una fonte di reddito stabile: obiettivo che difficilmente può essere raggiunto con bond in TRY.
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Il 2025 si prospetta come un anno cruciale per gli investitori azionari, chiamati a decidere se puntare sull’Europa o sugli Stati Uniti. Negli ultimi anni, Wall Street ha spesso surclassato le Borse del Vecchio Continente, ma le valutazioni attuali e il contesto economico stanno cambiando gli equilibri. In questo articolo faremo un’analisi approfondita e aggiornata della convenienza di investire in azioni europee rispetto a quelle americane, esaminando le performance storiche, i multipli di mercato (come P/E e P/B), le politiche economiche e monetarie e i fattori geopolitici.
Scopriremo inoltre l’importanza di una diversificazione geografica equilibrata – anche alla luce di un’esperienza diretta in banca sul finire degli anni ’90 – e proporremo una strategia concreta per allocare il portafoglio tra USA, Europa e mercati emergenti. Prepariamoci dunque a un viaggio divulgativo nello stile chiaro ed educativo, rivolto a risparmiatori evoluti e attenti alle opportunità globali.
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Le borse europee e americane hanno vissuto fasi alterne di leadership nel corso degli ultimi decenni. Storicamente, prima della crisi finanziaria del 2008, l’Europa aveva spesso tenuto testa – e a tratti superato – la performance di Wall Street. Ad esempio, tra gli anni ’80 e metà 2000 le azioni europee ebbero periodi di forte sovraperformance; al culmine del 2007, infatti, i mercati europei avevano nettamente battuto quelli statunitensi in termini di rendimento cumulativo . Tuttavia, dopo il 2008 lo scenario si è capovolto: complice il boom tecnologico e la rapida ripresa post-crisi negli USA, l’S&P 500 ha inanellato una serie di risultati straordinari, distanziando l’Europa in maniera marcata.
Negli ultimi 5 anni la differenza è stata notevole: dal 2020 a fine 2024, un portafoglio di azioni USA avrebbe quasi raddoppiato il proprio valore, mentre uno investito in titoli europei sarebbe aumentato di circa la metà. In particolare, il 2022 ha visto cali generalizzati su entrambe le sponde dell’Atlantico, ma il 2023 ha segnato una forte divergenza: l’indice S&P 500 americano ha guadagnato oltre il 25% (grazie al traino dei titoli tecnologici), mentre l’MSCI Europe è rimasto quasi piatto (intorno al +2-4% in dollari) . Il risultato? Nel 2024 gli Stati Uniti hanno sovraperformato l’Europa di ben 23 punti percentuali (25% vs 2%), uno scarto annuo secondo solo al record del 1976 . Questa differenza eccezionale conferma il dominio recente di Wall Street.
Se ampliamo l’orizzonte, il divario diventa ancora più evidente. Su 10 anni (2015-2024), le azioni americane hanno prodotto guadagni cumulativi straordinari, circa tripli rispetto a quelle europee. Chi avesse investito 100 euro a fine 2014 nell’S&P 500 oggi si ritroverebbe con oltre 300, mentre la stessa somma sul mercato europeo (indice Euro Stoxx 50) sarebbe poco più che raddoppiata.
Infine, su un orizzonte di 20 anni la supremazia americana appare schiacciante. Dal 2005 ad oggi il mercato USA ha moltiplicato il capitale iniziale di circa 7 volte, mentre l’Europa solo di circa 2-3 volte (considerando i dividendi reinvestiti). Un dato eloquente: 1 dollaro investito a inizio 2008 negli USA sarebbe diventato 5,6 dollari oggi, contro appena 1,7 dollari investito in Europa . In altre parole, negli ultimi 15-20 anni Wall Street ha reso oltre il 330% in più rispetto all’Europa.
Cosa spiegano questi dati storici? Anzitutto, che la leadership di mercato è ciclica. L’ultima volta in cui le borse internazionali hanno davvero battuto gli USA fu negli anni 2000 (dopo lo scoppio della bolla dot-com e durante la grande crescita dei mercati emergenti): in quel decennio, complici il crollo del Nasdaq nel 2000-2002 e la crisi finanziaria globale del 2008, l’S&P 500 rimase indietro mentre l’Europa (e in generale i mercati extra-USA) beneficiava della crescita cinese e di valutazioni più contenute . Basti pensare che nel biennio 1985-1986 le borse europee registrarono rialzi impressionanti (+80% nel 1985 in Europa vs +30% negli USA) , e ancora nel periodo 2003-2007 l’Europa sovraperformò nettamente Wall Street . Dunque, se è vero che l’ultimo quindicennio è stato l’“età dell’oro” per le azioni americane, la storia ci insegna che nessun mercato domina per sempre. Come nota l’economista Jesper Rangvid, non bisogna dare per scontato che “un mercato azionario che ha dominato in passato continui a farlo in futuro” . I cicli si invertono: ieri l’errore sarebbe stato sottopesare gli USA, domani potrebbe essere sottovalutare l’Europa.
Alla luce delle performance divergenti, le valutazioni azionarie oggi presentano uno scenario quasi speculare: i listini europei appaiono economici rispetto a quelli americani. In media, l’Europa tratta a multipli più bassi sugli utili e sul patrimonio, offrendo al contempo dividendi più generosi.
Le azioni europee scambiano a circa la metà del multiplo utili delle americane. Il rapporto prezzo/utili intorno a 13× per l’Europa è vicino alla media di lungo termine (12,6× sugli ultimi 20 anni) , mentre l’S&P 500 viaggia su P/E superiori a 22×, tra i più alti di sempre . Questa differenza di oltre il 40% nei multipli non è mai stata così ampia nella storia recente , segno di quanto l’Europa sia a sconto rispetto agli USA. Anche considerando i settori dominanti, la discrepanza si conferma: l’indice USA è ricco di titoli tecnologici ad alta crescita (che giustificano P/E più elevati), mentre l’Europa è più concentrata su settori value tradizionali come banche, energia e industriali, tipicamente con multipli più bassi . Ma anche a parità di settore, i titoli europei quotano a valutazioni inferiori rispetto ai concorrenti americani: ogni settore dell’MSCI Europe tratta al di sotto del consueto sconto di lungo periodo rispetto all’analogo USA , segno che il “gap” non dipende solo dal mix settoriale ma da una sottovalutazione generalizzata delle società europee.
Parallelamente, il rendimento da dividendo in Europa è circa doppio rispetto a Wall Street. L’indice Stoxx Europe 600 offre cedole annue intorno al 3,3-3,5% , contro l’1,3-1,5% dell’S&P 500 . In alcuni mercati europei il dividend yield è ancora più alto (ad esempio il FTSE 100 di Londra rende circa il 4% ). Questo riflette un approccio più income oriented delle aziende europee – che distribuiscono agli azionisti una quota maggiore degli utili sotto forma di dividendi e buyback (circa il 60% degli utili nello Stoxx 600 contro il 35% nell’S&P) . Azioni “value” a basso P/B tipiche dell’Europa tendono infatti a pagare dividendi più ricchi, mentre i titoli growth USA reinvestono di più (cedole minori) . Per un investitore a caccia di reddito, dunque, l’Europa è attualmente più attraente. Inoltre, negli ultimi anni anche le società europee hanno iniziato ad aumentare i piani di buyback azionari (riacquisto di proprie azioni) – una pratica comune negli USA – portando il rendimento totale per gli azionisti (dividendi + buyback) oltre il 4% annuo in Europa, un livello paragonabile a quello americano .
Un indicatore interessante è anche il rapporto PEG (P/E rapportato alla crescita degli utili attesa). Alcune analisi mostrano che nei segmenti small e mid cap il PEG europeo è decisamente inferiore a quello americano, segno che a parità di crescita prevista, le aziende europee sono prezzate più a buon mercato . Ad esempio, le piccole cap europee trattano intorno a 12,8× utili con crescita attesa del 18%, mentre le small cap USA a 19,4× con crescita 9% – una differenza enorme. Questo suggerisce potenziale di rivalutazione per l’Europa qualora il sentiment degli investitori dovesse migliorare.
In sintesi, il mercato europeo oggi offre valutazioni più convenienti: prezzi più bassi rispetto ai fondamentali (utili e patrimoni) e flussi di cassa agli azionisti più elevati. Questa situazione è in parte frutto della sfiducia e degli afflussi di capitale divergenti degli ultimi anni: nel 2024 si è osservato un enorme flusso di investimenti verso gli USA (oltre 480 miliardi di dollari di nuovi capitali) a fronte di continui deflussi dall’Europa (circa 65 miliardi in uscita) . Il peso dell’Europa nei portafogli globali non è mai stato così basso , il che paradossalmente può essere una opportunità contrarian – molti titoli europei sono rimasti indietro nonostante fondamentali solidi, e basterebbe qualche segnale positivo per innescare un recupero.
Le differenze di performance e valutazioni tra Europa e USA vanno lette anche alla luce del contesto macroeconomico e geopolitico, che nel 2025 presenta sfide e dinamiche differenti sui due lati dell’Atlantico.
Crescita economica e utili societari: Nel 2024 l’economia americana ha mostrato una forza sorprendente, con PIL in accelerazione e utili aziendali robusti, mentre l’Europa ha arrancato per via di shock energetici e indebolimento della domanda. Questo “eccezionalismo americano” ha supportato Wall Street, generando quella sovraperformance di cui parlavamo . Per il 2025 le aspettative indicano ancora una crescita USA intorno al 2% annuo, superiore a quella europea prevista intorno all’1% . Anche gli utili aziendali attesi riflettono questo gap: il consenso stima per l’S&P 500 un aumento degli utili di circa +10% nel 2024 e +15% nel 2025, contro un più modesto +7-8% per l’Europa . L’Eurozona flirta con la stagnazione (PMI manifatturieri sotto quota 50 indicano contrazione industriale) , mentre il consumatore americano mantiene una domanda vivace. In parte questa divergenza è dovuta alle diverse risposte di politica fiscale: gli Stati Uniti hanno varato ingenti stimoli (es. piani infrastrutturali, Inflation Reduction Act per la transizione energetica, maxi-investimenti tech) alimentando crescita e anche inflazione, mentre in Europa le politiche di bilancio sono state più timide e frenate da vincoli di deficit (fatta eccezione per il programma NextGeneration EU post-Covid).
Inflazione e tassi di interesse: Dopo lo shock inflattivo del 2022, la traiettoria dei prezzi al consumo sta divergendo: negli USA l’inflazione core resta più tenace, alimentata da una domanda interna resiliente e da politiche fiscali espansive, mentre in Europa l’inflazione sta rientrando più rapidamente (complice il calo dei prezzi energetici e la domanda debole). A fine 2024 l’inflazione europea è rientrata vicino al 3% con prospettive di convergere al 2%, mentre negli USA oscilla ancora attorno al 3-4% con pressioni salariali elevate. Di conseguenza, le banche centrali potrebbero muoversi in modo diverso nel 2025: la Fed (Federal Reserve americana) dopo aver alzato aggressivamente i tassi fino a oltre il 5% nel 2023, potrebbe mantenere un atteggiamento cauto e più restrittivo più a lungo, temendo che una politica fiscale espansiva e un mercato del lavoro tirato rendano difficile riportare l’inflazione al 2%. La BCE, dal canto suo, avendo portato il tasso di riferimento intorno al 4%, vede ora un’economia in rallentamento e un’inflazione in calo: è probabile che l’Eurotower inizi ad allentare la politica monetaria prima della Fed, forse tagliando i tassi già nella seconda metà del 2025 . Questo differenziale di tempistiche potrebbe sostenere i mercati azionari europei (che beneficiano di tassi più bassi) rispetto a quelli USA. Già ora si ipotizza che nel 2025 la BCE possa ridurre i tassi di oltre 1 punto (dal 3,25% verso il 2%) mentre la Fed resterà più prudente . Un costo del denaro in calo in Europa significa credito più accessibile e minor onere per le imprese, un potenziale volano per gli utili.
Politiche fiscali e riforme: Un elemento nuovo che potrebbe giocare a favore dell’Europa è il cambio di approccio di alcuni Paesi chiave verso politiche fiscali più espansive. In Germania, ad esempio, si sta discutendo di sospendere il rigido “Schuldenbremse” (freno al debito) per avviare un massiccio piano di investimenti pubblici in infrastrutture e difesa, pari a oltre 500 miliardi di euro (12% del PIL) da spendere nel prossimo decennio . È un cambiamento storico – la cosiddetta “Zeitenwende” (svolta epocale) – che romperebbe anni di austerità tedesca. Inoltre, l’UE sta valutando un piano di riarmo europeo da 150 miliardi in prestiti, con l’idea di escludere le spese per la difesa dai conteggi dei deficit . Se gli Stati membri aumentassero la spesa militare di 1,5% del PIL (come suggerito), ciò equivarrebbe a 800 miliardi extra in 10 anni (oltre 4% del PIL UE) . Secondo alcune analisi, l’insieme di queste misure fiscali potrebbe alzare il tasso di crescita tendenziale annuo dell’UE da ~1,6% a livelli simili a quelli previsti per gli USA (~2,1%) nel prossimo decennio . In pratica, l’Europa potrebbe colmare il gap di crescita strutturale grazie a maggior spesa pubblica. Ciò si tradurrebbe anche in una crescita degli utili aziendali più rapida in Europa (stimata ~7% annuo per gli EPS europei contro ~6% per quelli USA nei prossimi 10 anni) , invertendo la tendenza degli ultimi 15 anni . Se queste previsioni si realizzassero, i mercati potrebbero dover ri-prezzare al rialzo gli asset europei rispetto a quelli statunitensi.
Geopolitica: Sul fronte dei rischi geopolitici, l’Europa resta più esposta alle tensioni vicine ai propri confini. La guerra in Ucraina ha colpito la fiducia e l’economia europea più di quanto gli eventi globali abbiano impattato gli USA. Prezzi energetici elevati, incertezza politica (si pensi alle crisi di governo in grandi economie come Italia, Francia o Germania nel 2024) e timori sul conflitto hanno mantenuto un “risk premium” sui mercati europei, frenandone le valutazioni. Una possibile risoluzione del conflitto russo-ucraino – non improbabile nei prossimi anni – potrebbe quindi essere un catalizzatore positivo soprattutto per l’Europa, riducendo quel premio al rischio che pende sulle Borse del continente . Da notare che negli USA il dibattito politico (con l’avvicinarsi delle elezioni) include posizioni favorevoli a una rapida chiusura del conflitto: se la futura amministrazione americana dovesse spingere per un accordo di pace, l’Europa ne beneficerebbe in modo diretto con un ritorno di fiducia .
Al contempo, gli Stati Uniti affrontano altre sfide geopolitiche: la crescente competizione strategica con la Cina e le tensioni commerciali potrebbero penalizzare alcune multinazionali USA esposte al mercato cinese o alle catene globali, mentre l’Europa – pur toccata dalla stessa dinamica – tende ad avere un profilo più neutrale verso Pechino. Se le relazioni USA-Cina dovessero peggiorare (ad esempio restrizioni sull’export tech, rischio Taiwan, ecc.), gli investitori potrebbero preferire asset europei come alternativa meno coinvolta nello scontro tra superpotenze. D’altro canto, è vero anche che gli USA mantengono una stabilità politica interna e istituzionale percepita come maggiore (nonostante le polarizzazioni), con mercati finanziari più profondi e liquidi che fungono da porto sicuro. L’Eurozona invece sconta latenti rischi di frammentazione (differenziali tra titoli di Stato, elezioni delicate in alcuni Paesi, ecc.) che possono alimentare sconti di rischio.
In sintesi sul macro: le politiche monetarie nel 2025 potrebbero diventare un vento in poppa per l’Europa (grazie a possibili tagli tassi BCE) e un freno relativo per gli USA (Fed restrittiva più a lungo). Le politiche fiscali stanno passando da divergenti a forse più simili, con l’Europa pronta a stimolare di più la propria economia. E sullo sfondo, la fine della guerra in Ucraina o nuove spinte industriali (come gli investimenti green e digitali continentali) potrebbero ridare appeal all’azionario europeo. Gli USA restano favoriti in termini di dinamismo economico e innovazione, ma molto è già prezzato nei corsi azionari americani (oggi costosi), mentre l’Europa si trova in una posizione inusuale di underdog sottovalutato che potrebbe sorprendere positivamente.
Di fronte a questi scenari contrastanti, quale deve essere l’approccio di un risparmiatore evoluto? La parola chiave è diversificazione geografica. Nessun investitore, per quanto esperto, può prevedere con certezza quale mercato sovraperformerà nei prossimi anni: gli ultimi vent’anni hanno premiato gli USA, ma in passato non è sempre stato così e in futuro la storia potrebbe cambiare. Puntare tutto su un solo mercato equivale a fare una scommessa rischiosa sul mantenimento dello status quo – scommessa che potrebbe non pagare se le cose dovessero evolvere diversamente dal recente passato.
Ricordo bene una esperienza personale in banca nel 2000: all’epoca lavoravo come consulente finanziario e molti clienti italiani mostravano scetticismo verso il mercato americano. Venivamo dai favolosi anni ’90 della Borsa italiana ed europea – basti pensare al boom della New Economy che coinvolse anche il Vecchio Continente – e la convinzione diffusa era che convenisse restare “vicino a casa”, investendo in titoli nostrani o europei, considerati più conosciuti e sicuri. L’S&P 500, dopo aver corso tantissimo negli anni ’90 con i titoli tech, veniva giudicato sopravvalutato e prossimo a una correzione duratura. Molti investitori trascurarono quindi il mercato USA proprio allo scoccare del nuovo millennio. In parte, nel breve termine, quella prudenza sembrò fondata – la bolla Internet scoppiò nel 2000-2002 e il Nasdaq crollò – ma guardando a qualche anno dopo, fu un errore strategico: già dal 2003 gli USA ripresero vigore e negli anni seguenti Wall Street tornò a brillare, trainata da settori innovativi e da una crescita più rapida dell’economia americana. Chi all’epoca aveva escluso o sottoponderato gli USA in portafoglio perse importanti opportunità di rendimento e di diversificazione. Questa lezione mi ha insegnato che non bisogna mai “innamorarsi” di un solo mercato né farsi condizionare dal recente passato dando per scontato che nulla cambierà.
Diversificare globalmente permette di beneficiare della crescita dove essa si manifesta e di attenuare i rischi specifici di una singola area. Se avessimo uno sguardo al 2030, potremmo scoprire che l’Europa avrà finalmente vissuto il suo “decennio d’oro” (magari grazie a valutazioni iniziali basse e a riforme strutturali), oppure che gli USA avranno continuato a dominare spinti da nuove rivoluzioni tecnologiche (pensiamo all’AI, alla biotecnologia, allo spazio) – o ancora, che i mercati emergenti asiatici saranno stati la vera sorpresa con tassi di crescita nettamente superiori. Nessuno ha la sfera di cristallo, per cui la scelta più saggia è non farsi trovare scoperti su nessun fronte: avere in portafoglio una quota di azioni USA, una di azioni europee e una di Paesi emergenti/Asia significa essere pronti a qualunque cambiamento di leadership, riducendo la volatilità complessiva e cogliendo le opportunità ovunque esse si presentino.
Vale la pena sottolineare anche un altro aspetto: la diversificazione geografica non riguarda solo i rendimenti, ma anche i benefici di correlazione. I mercati azionari tendono a muoversi in sincronia nelle grandi crisi globali, è vero, ma in fasi normali possono reagire in modo diverso a seconda delle notizie economiche locali, delle valute e di altri fattori. Ad esempio, nel 2022 l’Europa è scesa meno di Wall Street (in valuta locale) perché aveva meno titoli tecnologici iper-valutati e più titoli “value” beneficiari di inflazione (come banche ed energetici). Avere entrambi i mercati in portafoglio mitiga gli alti e bassi: quando l’America arranca l’Europa potrebbe tenere, e viceversa. Inoltre, aggiungere anche un’esposizione all’Asia ed emergenti introduce fonti di rendimento aggiuntive (legate alla crescita demografica e industriale di quei Paesi) e rischi non correlati con l’Occidente (ad esempio, mercati che possono salire anche quando Europa/USA scendono, e viceversa, a seconda del ciclo).
Alla luce di tutto ciò, ecco una strategia concreta e prudente per un investitore di lungo periodo: allocare circa un terzo del portafoglio azionario negli USA, un terzo in Europa e un terzo in Asia/emergenti. Questo bilanciamento 33/33/33% garantisce una copertura globale ben distribuita. Vediamo i punti di forza di ciascuna componente:
• Azioni USA (~33%): continuano a rappresentare il pilastro della crescita globale. Pur con multipli elevati, includono aziende leader nei settori più innovativi (tecnologia, digital, farmaceutica avanzata, difesa, ecc.) che hanno mostrato capacità di generare valore e utili crescenti. Questa quota offre al portafoglio dinamismo e innovazione, beneficiando della solidità dell’economia statunitense e della sua capacità di reagire rapidamente alle crisi. È la parte “offensiva” orientata alla crescita di qualità.
• Azioni Europa (~33%): forniscono valutazioni interessanti e alti dividendi. Questa fetta del portafoglio dà esposizione a settori tradizionali (industria manifatturiera, lusso, energie rinnovabili, banche) in fase di possibile rivalutazione. L’Europa offre inoltre diversificazione valutaria (per un investitore in euro, è la componente nella propria valuta, riducendo il rischio cambio sugli USA) e potrebbe beneficiare di politiche economiche più accomodanti nei prossimi anni. Rappresenta la parte “value e income” del portafoglio, generatrice di flussi cedolari e potenziale recupero dai prezzi compressi.
• Azioni Asia ed Emergenti (~33%): includono economie in rapido sviluppo come Cina, India, Sud-Est asiatico e America Latina. Questi mercati apportano crescita potenziale più elevata, grazie a trend demografici e di urbanizzazione favorevoli. Sebbene più volatili e soggetti a rischi politici, nel lungo termine possono offrire rendimenti superiori se si materializza la convergenza economica con i Paesi sviluppati. Inoltre, molte aziende emergenti sono oggi competitive a livello globale (si pensi al tech asiatico, all’e-commerce cinese, ai produttori di materie prime). Questa quota funge da elemento di diversificazione extra: spesso gli emergenti hanno cicli non allineati al 100% con Occidente e possono beneficiare, ad esempio, di un dollaro debole o di fasi di boom delle commodities.
Naturalmente, la ripartizione esatta può variare in base al profilo di rischio individuale e alle aspettative personali: alcuni investitori potrebbero preferire un 40/30/30 dando più peso agli USA per comfort, altri un 30/40/30 credendo nel rilancio europeo, altri ancora inserire una piccola quota del 5-10% in settori specifici (es. mercati di frontiera o settori globali tematici come tecnologia o energia pulita). Ma l’importante è evitare squilibri estremi (es. 70-80% tutto su un’area geografica) che esporrebbero a rischi idiosincratici elevati. La regola del “tre volte 33%” è un ottimo punto di partenza, semplice da implementare magari tramite ETF o fondi indicizzati regionali, e consente di riequilibrare periodicamente (rebalance) mantenendo costanti le proporzioni: così si tende a vendere un po’ l’area che è salita di più e comprare quella rimasta indietro, automaticamente “buy low, sell high”.
Investire nel 2025 in azioni europee rispetto a quelle americane richiede dunque un’attenta valutazione di pro e contro. Le Borse USA hanno dalla loro un track record eccezionale e un ecosistema di imprese leader mondiali, ma quotano a prezzi cari e scontano già molto ottimismo. Le Borse europee appaiono oggi come il “valore nascosto” sul palcoscenico globale: sottovalutate, snobbate da anni di flussi negativi, ma fondamentalmente solide e con possibili catalyst (tassi in discesa, politiche espansive, riduzione rischi geopolitici) che potrebbero innescare una riscossa. In questo scenario, più che schierarsi in modo binario Team Europa o Team USA, la scelta vincente è abbracciare entrambe, nel giusto equilibrio, e aggiungere al mix anche la terza colonna dei mercati emergenti per completare la diversificazione.
Come ci insegna l’approccio divulgativo di Piero Angela, cui sono stato spesso paragonato, è dalla conoscenza approfondita e dall’equilibrio che nascono le decisioni migliori. Un risparmiatore evoluto deve saper guardare oltre i risultati recenti, capire le forze in gioco (performance storiche, valutazioni, macroeconomia) e preparare il proprio portafoglio a ogni evenienza. Europa o America? La risposta è: entrambe, e non solo. Diversificando geograficamente si potrà navigare il 2025 – e gli anni a venire – con la tranquillità di chi sa di aver costruito un portafoglio robusto, pronto a cogliere le opportunità di crescita ovunque esse si manifestino. E chissà che proprio questa strategia bilanciata non ci permetta di partecipare da protagonisti alla prossima storia di successo, sia essa scritta a Wall Street, a Francoforte o a Shanghai. In bocca al lupo e buon investimento globale!
Think different, invest differently
Giacomo Saver – CEO di Segreti Bancari
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Conviene investire in oro oggi, dopo la corsa che il metallo ha compito negli ultimi mesi? Perché farlo, i migliori strumenti che offre il mercato, i rischi e i nostri consigli indipendenti.
L’incertezza nei mercati finanziari spinge molti risparmiatori a considerare l’investimento in oro come una scelta sicura. Questo metallo prezioso è ampiamente riconosciuto come un bene rifugio per eccellenza, in grado di performare bene specialmente durante periodi di difficoltà nei mercati.
Esistono diverse modalità attraverso cui è possibile investire nell’oro, ognuna con le sue caratteristiche. Oltre all’acquisto di oro fisico, c’è la possibilità di investire in oro finanziario. Ad esempio, una strategia di diversificazione spesso include una quota di investimento in ETF legati all’oro. Questa può essere una via per intraprendere un percorso di investimento in linea con i propri obiettivi finanziari.
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In un contesto di crescente incertezza economica e geopolitica, l’oro continua a essere visto come un bene rifugio. Storicamente il metallo prezioso ha mantenuto il suo valore, proteggendo gli investitori durante periodi di crisi. Ne è un esempio ciò che accadde nel corso della Grande Recessione del 2008, quando l’inserimento di una quota di metallo in portafoglio avrebbe evitato di subire gli effetti del crollo del mercato azionario, pari a circa il 45%.
Lo stesso fenomeno si è osservato anche in tempi più recenti, con il prezioso che ha raggiunto nuovi massimi a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Le tensioni geopolitiche non si limitano a questo evento, ma continuano a segnare il panorama globale, soprattutto con l’aggravarsi del conflitto in Medio Oriente, spingendo molti a cercare protezione per i propri investimenti
Ma l’oro non è solo una protezione contro le crisi. La sua bassa correlazione con altri asset finanziari lo rende uno strumento eccellente per la diversificazione del portafoglio. Ciò è vero, soprattutto, nelle fasi di ribasso dei mercati finanziari e di “panic selling”.
Oltre a queste considerazioni, c’è un ulteriore vantaggio strategico: a differenza delle valute, l’oro è una risorsa limitata. Non può essere “stampato” dalle banche centrali come il denaro fiat, e la crescente domanda nei mercati emergenti, unita all’uso tecnologico del metallo, continua a sostenere i prezzi a lungo termine.
Esistono diversi modi per investire nel metallo, ciascuno con le proprie peculiarità e vantaggi.
Nonostante il contesto economico attuale, che ha visto una riduzione dei tassi mettere il turbo alle quotazioni, ci sono diverse ragioni per considerare ancora l’investimento in questo metallo:
Prima di investire in oro, è importante essere consapevoli dei rischi:
Nel 2024, investire in oro potrebbe continuare a essere una strategia valida. Tuttavia, non si tratta di prevedere un’ulteriore crescita delle quotazioni, bensì di sfruttare l’oro come elemento di stabilità all’interno di un portafoglio diversificato. E’ inoltre saggio mettere in conto una possibile correzione a breve termine, dopo la salita dei mesi/anni scorsi. Attualmente, manteniamo una piccola esposizione al metallo nei nostri portafogli, per un 5% massimo, una quota che riteniamo prudente per affrontare l’incertezza economica globale.
Se dovessero acuirsi le tensioni geopolitiche, o se le banche centrali dovessero invertire la rotta sui tassi d’interesse, l’oro potrebbe continuare a performare positivamente. In ogni caso, il suo ruolo di depressurizzatore di portafoglio rimane insostituibile.
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Giacomo Saver – CEO di Segreti Bancari
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Negli ultimi anni, il settore della difesa è diventato un tema caldo tra gli investitori. L’aumento delle tensioni geopolitiche e il conseguente incremento della spesa militare hanno acceso i riflettori su questo comparto, portando molti a considerarlo una nuova opportunità di investimento.
Ma è davvero così? Oppure si tratta semplicemente dell’ennesima moda di mercato, destinata a far perdere soldi a chi si lascia trascinare dall’entusiasmo? Vediamo perché investire nella difesa potrebbe non avere senso e quali sono i rischi reali di questa scelta.
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Le recenti crisi geopolitiche, come la guerra in Ucraina, hanno spinto i governi a rafforzare le proprie capacità militari, aumentando i budget destinati alla difesa. Paesi membri della NATO hanno accelerato gli investimenti per raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL in spesa militare, alimentando una domanda crescente per aziende del settore.
Inoltre, le tecnologie sviluppate in ambito militare trovano applicazioni anche nell’aerospaziale e nella cybersecurity, rendendo il comparto interessante dal punto di vista dell’innovazione.
Tutto questo, però, è già noto al mercato. E qui sta il problema.
Quando un settore diventa di tendenza, i prezzi delle sue azioni e dei relativi ETF tendono a salire rapidamente, spesso anticipando la realtà economica. Questo significa che quando l’investitore medio inizia a interessarsi all’argomento, è molto probabile che le valutazioni siano già gonfiate.
Ecco perché investire nella difesa oggi potrebbe non essere una buona idea:
Per fare un paragone, basta guardare cosa è successo negli anni passati con settori di moda come le criptovalute, i titoli tecnologici e le energie rinnovabili: dopo forti rally iniziali, molti investitori sono rimasti scottati dalle correzioni successive.
Per chi volesse comunque investire in questo settore, gli ETF sulla difesa offrono una soluzione diversificata. Tuttavia, anche qui bisogna fare attenzione a cosa si sta comprando e a che prezzo.
Alcuni ETF popolari sulla difesa:
Cosa considerare prima di acquistare un ETF sulla difesa?
Se l’obiettivo è investire in comparti solidi con un buon potenziale di crescita, esistono altre opportunità meno speculative:
Investire nella difesa potrebbe sembrare una buona idea a prima vista, ma seguire la moda raramente porta a guadagni nel lungo termine. La storia dimostra che ciò di cui tutti parlano è spesso già prezzato dal mercato, lasciando poco spazio a ulteriori rialzi e aumentando il rischio di subire perdite.
Gli investitori più esperti sanno che comprare alto e vendere basso è la strada sicura per perdere soldi. Piuttosto che inseguire il settore più in voga, è fondamentale analizzare con lucidità le opportunità di investimento e non farsi trascinare dall’emotività.
Se vuoi costruire un portafoglio solido e orientato al lungo termine, valuta strategie più equilibrate e meno speculative. La moda del momento potrebbe rivelarsi solo un’illusione costosa.
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L’istituto presenta un’ampia offerta di prodotti, ma la domanda è lecita: le polizze Mediolanum convengono?
In questo post parleremo dei prodotti assicurativi Mediolanum e valuteremo i loro pro e contro. Mediolanum è una banca italiana di servizi finanziari che offre una gamma di prodotti assicurativi per individui e famiglie.
L’assicurazione è una parte essenziale della pianificazione finanziaria ed è fondamentale scegliere il prodotto più adatto alle tue esigenze; Mediolanum offre diverse opzioni assicurative.
Tuttavia, come per ogni prodotto assicurativo, ci sono pro e contro da considerare, come le tariffe, le opzioni di copertura e molto altro. In questo articolo daremo un’occhiata più da vicino ai prodotti assicurativi Mediolanum, esaminandone le caratteristiche, i vantaggi e gli svantaggi.
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Banca Mediolanum è un istituto finanziario italiano fondato nel 1982. La banca è nota per il suo approccio bancario innovativo e incentrato sul cliente, che le ha permesso di consolidare una clientela in Italia e in altri Paesi europei.
Banca Mediolanum offre un’ampia gamma di servizi finanziari, tra cui attività bancarie, gestione patrimoniale, assicurazioni e fondi pensione. I valori fondamentali della banca sono la trasparenza, la fiducia e la semplicità, con un’esperienza bancaria immediata e accessibile a tutti.
Banca Mediolanum ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti per il suo approccio innovativo all’attività bancaria e per il suo impegno nel servizio al cliente. Con una forte attenzione alla sostenibilità e alla responsabilità sociale, è ben posizionata per continuare la sua crescita e il suo successo negli anni a venire.
Mediolanum Vita è una compagnia che opera esclusivamente nel settore delle assicurazioni vita e della previdenza complementare, fornendo soluzioni innovative per ogni esigenza.
In termini numerici, nel 2018 la compagnia ha registrato oltre 2 miliardi e 854 milioni di euro di premi netti. Per quanto riguarda la rete di vendita, Mediolanum Vita si affida alla rete distributiva di Banca Mediolanum, composta da promotori finanziari qualificati in grado di coprire l’intero territorio italiano.
Mediolanum Vita offre diverse linee di prodotti per soddisfare le diverse esigenze dei clienti. Le categorie comprendono soluzioni per l’investimento, la previdenza e la protezione. Vediamole una per una.
Tra le soluzioni di investimento, Mediolanum Vita propone sei polizze: Mediolanum My Life, Mediolanum Personal PIR, Mediolanum Capital New, Life Funds, Mediolanum New Generation e Mediolanum My Life Special.
Mediolanum My Life è una polizza vita che combina la pianificazione finanziaria con la copertura assicurativa ed è interamente personalizzabile. Il contraente può scegliere tra Premio Unico, Pic Programmato Double Chance e una combinazione di entrambi. Il piano può anche essere un Piano dei Premi Programmati. Il contraente può scegliere di investire in una delle altre polizze disponibili in questa categoria, a seconda dei propri obiettivi finanziari.
Nell’ambito delle soluzioni per la previdenza, Mediolanum Personal PIR è una polizza vita che si caratterizza come prodotto di investimento. Rientra tra gli investimenti qualificati destinati alla creazione di un Piano individuale di risparmio a lungo termine (PIR). È possibile sottoscrivere questo piano in due modi: a premio unico o a premio programmato.
Nell’ambito delle soluzioni di protezione, Mediolanum Vita propone Mediolanum Capital New, una polizza vita che consente di accumulare il capitale nel lungo periodo. Unisce i vantaggi di un investimento professionalmente diversificato sui mercati finanziari internazionali a quelli di un prodotto assicurativo. Gli assicurati possono optare per un piano di versamenti singoli o per un piano di versamenti annuali Rivalutabili.
Un’altra polizza che rientra nelle soluzioni di protezione è Life Funds, una polizza vita che consente di creare un capitale nel medio-lungo periodo attraverso un investimento personalizzato in un portafoglio diversificato. Può essere un piano di versamenti unici o un piano di versamenti programmati.
Infine, Mediolanum New Generation è una polizza vita che mira a garantire il futuro di figli o nipoti. L’unica modalità di sottoscrizione di questa polizza è il PAC (Piano di Accumulazione del Capitale). Il piano di pagamento può durare dieci, dodici o quindici anni.
In conclusione, i prodotti assicurativi Mediolanum offrono una serie di vantaggi e svantaggi che i potenziali clienti dovrebbero valutare attentamente prima di prendere una decisione.
Uno dei vantaggi principali dei prodotti assicurativi Mediolanum è la loro flessibilità. I clienti possono scegliere tra diverse opzioni di copertura per creare una polizza che soddisfi le loro esigenze specifiche. Inoltre, la compagnia offre una serie di opzioni di investimento che consentono ai clienti di accrescere potenzialmente il proprio patrimonio e di proteggersi finanziariamente.
Tuttavia, è importante notare che i prodotti assicurativi di Mediolanum comportano anche commissioni e spese. I clienti dovrebbero esaminare attentamente la struttura delle commissioni per assicurarsi di comprendere tutti i costi associati alla loro polizza.
In definitiva, la decisione di acquistare un’assicurazione da Mediolanum dipenderà dalle esigenze e dalle circostanze specifiche di ciascun individuo. Sebbene la compagnia offra una serie di vantaggi, è importante soppesare attentamente questi ultimi rispetto ai potenziali svantaggi prima di prendere una decisione definitiva.
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Giacomo Saver – CEO Segreti Bancari
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I mercati finanziari sono imprevedibili. Un evento improvviso, una crisi economica o un cambio nelle politiche monetarie possono far oscillare il valore degli investimenti. Per chi vuole proteggere il proprio patrimonio, specialmente in pensione, la diversificazione del portafoglio è la strategia più efficace per ridurre i rischi senza compromettere i rendimenti.
La diversificazione consiste nel distribuire i propri investimenti su più strumenti finanziari, settori e aree geografiche per ridurre il rischio complessivo del portafoglio. In altre parole, significa non mettere tutte le uova nello stesso paniere.
Se investi tutto il tuo capitale in un singolo asset o settore, corri il rischio che una crisi specifica possa erodere gran parte dei tuoi risparmi. Al contrario, un portafoglio ben diversificato può assorbire meglio le oscillazioni del mercato, garantendoti stabilità e protezione nel tempo.
Una strategia di diversificazione efficace cerca di creare un’asset allocation strategica contraddistinta da una bassa correlazione tra le parti che la compongono. Questo perché, se due asset sono altamente correlate, possono reagire in modo simile agli stessi eventi di mercato, riducendo l’efficacia della diversificazione.
Ad esempio, consideriamo azioni e obbligazioni. Storicamente, queste due classi di attivo hanno mostrato un basso legame o addirittura una correlazione negativa in molti casi. Quando le azioni scendono le obbligazioni tendono a offrire rendimenti più stabili o addirittura in aumento, e viceversa. Questa dinamica può aiutare a bilanciare il portafoglio, riducendo il rischio complessivo.
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Allo stesso modo, investire in asset con correlazioni basse tra diversi settori dell’economia può contribuire a diversificare ulteriormente il portafoglio. Ad esempio, durante un rallentamento economico i settori difensivi come l’healthcare e i beni di prima necessità possono performare meglio rispetto ai settori ciclici come la tecnologia e l’energia.
Tuttavia è importante notare che la correlazione tra asset può variare nel tempo e in diverse condizioni di mercato. Pertanto gli investitori devono monitorare attentamente il grado di dipendenza tra le diverse componenti del loro portafoglio e adattare di conseguenza la propria strategia.
1 – Riduzione del rischio
Una delle principali ragioni per cui gli investitori suddividono il loro patrimonio in strumenti diversi è la riduzione del rischio. Se si investe tutto il capitale in un singolo titolo o in un settore specifico, si corre il pericolo di subire perdite significative se quel particolare investimento dovesse subire una flessione. Evitando di “mettere tutte le uova nello stesso paniere” le eventuali perdite su alcuni possano essere compensate dai guadagni su altri.
Abbiamo visto, infatti, che se si investe sia in azioni che in obbligazioni, e le azioni subiscono una caduta improvvisa, le eventuali perdite su queste potrebbero essere attenuate dai rendimenti più stabili delle obbligazioni o dall’oro, così come altre commodities. Lo stesso principio si applica, infatti, alla diversificazione tra diverse aziende, settori e classi di asset, come immobili, materie prime e valute.
2 – Massimizzazione del rendimento potenziale
Oltre a ridurre il rischio complessivo del portafoglio, la strategia può anche massimizzare il rendimento atteso nel lungo periodo. Investire in una varietà di asset, in definitiva, consente di beneficiare delle opportunità di crescita in diversi settori e mercati. Infine, la differenziazione permette agli investitori di mitigare l’impatto di eventuali shock economici o politici in determinate regioni o settori.
3 – Protezione dall’inflazione
Investire solo in liquidità o titoli di Stato a breve termine può non essere sufficiente per contrastare la perdita di potere d’acquisto. Diversificare con asset più remunerativi aiuta a proteggere il capitale dall’erosione inflazionistica.
4 – Accesso a diverse opportunità di rendimento
Settori e mercati diversi si muovono con cicli economici differenti. Una corretta diversificazione ti permette di cogliere le opportunità senza esporre il capitale a rischi eccessivi.
Per costruire un portafoglio bilanciato, è importante scegliere asset con comportamenti differenti. Ecco alcune strategie chiave:
1 – Diversificazione per tipologia di asset
2 – Diversificazione geografica
Investire in diverse aree geografiche riduce il rischio legato a problemi economici o politici di un singolo Paese.
3 – Diversificazione settoriale
Investire in diverse aree geografiche riduce il rischio legato a problemi economici o politici di un singolo Paese.
4 – Diversificazione temporale
Investire in modo graduale con un PAC (Piano di Accumulo Capitale) aiuta a ridurre il rischio di entrare nel mercato in momenti sfavorevoli.
Selezionare e bilanciare correttamente gli investimenti può essere complesso, specialmente se non si ha esperienza. Un consulente finanziario indipendente ti aiuta a:
✔ Analizzare il tuo profilo di rischio e suggerirti un portafoglio personalizzato.
✔ Monitorare il mercato e ribilanciare gli investimenti per mantenere il giusto livello di protezione.
✔ Evitare errori emotivi che possono portare a vendite impulsive nei momenti sbagliati.
Dal 2010 siamo qui per aiutare le persone ad investire diversaMente partendo da ciò che sappiamo di non sapere, e usando un linguaggio semplice, pacato e coinvolgente. Ecco due risorse di approfondimento che ti consigliamo:
Think different. Invest differently.
Giacomo Saver – CEO di Segreti Bancari
L'articolo Perché diversificare il portafoglio è fondamentale per proteggere i risparmi proviene da Segreti Bancari.