“Comunità”, stando al vocabolario, è un insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, culturali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni. In questa definizione mi è difficile inquadrare l’esistenza di una comunità gay italiana.
Certo molti di noi condividono il percorso di accettazione che ci porta alla visibilità con il coming out, ma altrettanti hanno in comune solo l’oscurità e le nebbie dell’invisibilità.
Per abbracciare una socialità gay scegliamo a centinaia, senza patemi d’animo, di frequentare locali gay o friendly e viviamo il rutilante mondo delle notti in discoteche, cruising o saune. Insomma siamo quelli che Mykonos è la nostra terra promessa. Tantissimi, al contrario storcono il naso a qualsiasi socializzazione arcobaleno e “non frequentano” quei locali lì: si dicono liberi, tutt’al più hanno amici etero e detestano il cosidétto ghetto. Siamo divisi persino sull’uso delle chat: c’è chi le usa come strumento quotidiano di incontro e conoscenza e chi sostiene di non averne alcun bisogno.
Su di una cultura condivisa proprio non ci siamo: sono riconoscibili interessi comuni nelle nostre chiacchiere, ma il cinema, la letteratura, il teatro e la musica ci emozionano in modo del tutto peculiare ed è impossibile individuare un qualche misero riferimento comune.
Forse sul linguaggio siamo un poco più vicini: “A o P?”, una domanda che genererebbe il silenzio catatonico di qualsiasi eterosessuale (a meno che non sia sgamato), nella nostra lingua tutta peculiare ha un significato certo e indubitabile. Non è così però per l’uso del femminile nelle chiacchiere tra noi ragazzi: crea moti di sdegno a moltissimi gay che rivendicano la loro fiera mascolinità finocchia.
Manco la morale è sempre quella. Adozioni sì, adozioni no? Alzare o abbassare l’età del consenso? Nudismo sì o nudismo no? Matrimonio gay, unioni o cancellazione del matrimonio tradizionale? Sesso in pubblico sì o no? Coppia aperta, spalancata o serrata? Che fare degli amori plurimi, della liberazione del corpo, dell’uso delle droghe? Facciamo outing ai froci omofobi o no? Legalizziamo la prostituzione maschile? Sono tante domande che non trovano tra di noi risposte comuni. Insomma, è sufficiente solo il desiderio per persone dello stesso sesso che ci rende uguali per essere una comunità?
Condividiamo discriminazione, omofobia, assenza di diritti e l’urgenza di raggiungere la piena uguaglianza. Tutto questo è molto più di quanto ci divide e dovrebbe farci riflettere sulla necessità di fare attivamente il bene e gli interessi della nostra comunità. E di uscire da quell’individualismo che fa di noi stessi le sue prime vittime. (Pubblicato in “Pride”, aprile 2016)
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Altro che piccolo schermo, Costantino della Gherardesca è riuscito a tenerci incollati alla TV per la quarta stagione di Pechino Express. Il programma di Rai 2 vede sfidarsi otto coppie, tra cui Scialpi e il marito Roberto e la coppia composta dal blogger Andrea Pinna e il personal trainer Roberto Bertolini, in un viaggio ai confini della realtà attraverso il Sud America con un budget di un euro al giorno. I concorrenti, partiti dalla capitale dell’Ecuador, Quito, percorreranno via via 10 mila chilometri, attraversando Machu Picchu e il lago Titicaca in Perù, per raggiungere Rio de Janeiro,
E guardare lo show è esattamente come assistere a un pride tanto che “ll Fatto Quotidiano” ha definito la trasmissione “l’edizione più gay della trasmissione più gay della storia della tv italiana”. E oltre all’analisi meramente quantitativa, fra conduttore e concorrenti si contano ben sei gay (c’è anche Luca Tomassini e persino una ragazza bisessuale, Naike Rivelli, figlia di Ornella Muti, ne fa una qualitativa: “con la giusta dose di sarcasmo cattivello” la trasmissione spalanca “per quanto possibile in uno show di prima serata sulla Rai, il velo di ipocrisia catodica a cui ci ha abituati la tv degli ultimi decenni”.
Il quotidiano centra il punto, dopo il cinema, e sono solo di qualche anno fa gli imbarazzi di Rai 2 con la censura del bacio tra i due cow boy di Brokeback Mountain, la coppia e il matrimonio gay (Scialpi si è sposato all’estero) conquistano la prima serata. E’ un’evoluzione della TV Italiana che a partire dal coraggio en travesti di Paolo Poli, attinge a piene mani dalla gaytudine di Cronache Marziane di Fabio Canino, e affianca l’effervescenza di Platinette mostrando una visibilità che fin qui la tv italiana aveva ignorato (con rare eccezioni come le fiction di Ivan Cotroneo). E di certo mette una pietra tombale sul troppo non detto delle tonnellate di Amici di Maria de Filippi arcobaleno, che ancora latitano nel coming out .
Certo non è mancato chi, omosessuale, ha parlato di occasione persa, di personaggi trash e dell’uso di stereotipi nella rappresentazione dell’omosessualità: il palestrato, il nerd intellettuale, la frocia emotiva (Scialpi che piange perché non trova dove dormire è impagabile) e così via. Non sono d’accordo: mi sembra solo che questa opinione dia voce all’insopportabile vanità del presunto gay normale che non è mai frocio come quelli lì nei quali si è specchiato in TV. Volenti o nolenti siamo orsi, palestrati, nerd, sfigatelli, machi e checche. Il gay normale (o l’etero travestito) esiste solo negli incubi di chi ha paura di quello che è e ben ha fatto della Gherardesca a raccontare una parte di quello che siamo, favolosità e miserie comprese.
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Matrimonio, unioni civili, adozioni, omo-transfobia: sono queste le rivendicazioni principali, declinate con sfumature diverse, di almeno 14 manifestazioni dell’orgoglio lgbt che scenderanno in piazza da qui a luglio sotto il nome di Onda pride 2015.
A queste richieste, sfrondando la retorica dei documenti politici dei diversi eventi, si aggiunge come centrale il tema della laicità dello Stato, la promozione della salute, e il problema dei diritti e dell’accoglienza dei migranti.
Di certo uguaglianza, dignità, tolleranza e piena parità non suonano come richieste nuove o innovative:sono almeno due decenni che i diritti di persone omosessuali e trans non trovano riscontro positivo nell’attività legislativa del Parlamento. Milioni di persone sono scese nelle piazze arcobaleno d’Italia fin qui, ottenendo al massimo qualche titolo di giornale per poi sparire nel nulla.
Chiedersi allora perché scendere ancora in piazza, oltre che utile è opportuno, ma solo a partire da un’altra domanda e cioè “Quale manifestazione o gruppo di rivendicazione ha, negli ultimi vent’anni, ottenuto lo straccio di un misero successo?”. Non gli studenti o gli insegnanti che, dopo aver riempito le piazze, stanno assistendo allo smantellamento della scuola. Non i lavoratori che si sono visti, governo dopo governo, polverizzare i diritti. Non i laici, non gli ambientalisti, non i disabili… e nemmeno noi.
Eppure abbiamo manifestato, marciato, organizzato girotondi e flash mob, contestato e dibattuto.
Il problema evidentemente non è nelle modalità di rivendicazione ma sta da tutt’altra parte, ovvero in chi deve tradurre le rivendicazioni in legge e quindi in una classe politica che, da Renziin giù, ignora qualsiasi richiesta che viene dal basso.
Siamo, infatti, di fronte a un quadro partitico che risponde solo a domande che vengono da altrove (“ce lo chiede l’Europa”), capace, con abilità che non ha paragoni nella nostra storia recente, di perpetrare se stesso, tra governi nominati senza passare dalle elezioni, leggi elettorali incostituzionali, ribaltoni o compravendita di deputati.
È una classe politica ignobile, in grado solo di “autoconservarsi”, che ha congelato il paese per oltre vent’anni. Se ne esce manifestando?
Un paese non può rimanere “congelato” all’infinito e, peggio, più si persevererà nell’inazione (condita solo da un sapiente uso della propaganda), più il crollo dei responsabili di questa immobilità sarà definitivo e catastrofico. Ho anche la speranza, ma non la certezza, che si trovi una via d’uscita pacifica al nulla politico di questi anni. Prima del crollo però è utile essere in piazza, ancora una volta, per ribadire che fuori dai palazzi del potere esiste un altro paese dove uguaglianza, democrazia e libertà hanno già piena cittadinanza. (editoriale di “Pride”, giugno 2015.)
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Conferenza a Calusco D’Adda, 7 giugno 2015 ore 21.
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Le Sentinelle in piedi in piazza Duomo e, nell’articolo, le Caramelle al coperto in un locale, sabato sera
CREMA – La serata di contrapposizione, sia pur in piazze diverse, non c’è stata. O, meglio, c’è stata ma con variazioni sul tema. Mentre le Sentinelle in piedi, ligie al loro programma, si sono presentate in una cinquantina, sfidando un impietoso vento, davanti al palazzo comunale per la loro manifestazione, le Caramelle in piedi se ne sono state comodamente sedute in un accogliente e caldo locale, il Paniere. Ecco che cosa è successo, secondo i rispettivi racconti.
Le Sentinelle in piedi…
Non è bastata la pioggia, né il vento o l’inaspettato freddo, per far desistere le Sentinelle in Piedi. Infatti, sabato 18 aprile, per la terza volta a Crema, circa cinquanta sentinelle sono scese in piazza per denunciare le minacce contro l’uomo che sono in corso nella nostra società. Ad esempio: la diffusione dell’ideologia gender, la legalizzazione del matrimonio omosessuale, l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali e la pratica dell’utero in affitto.
La forza delle motivazioni, e la consapevolezza di combattere una battaglia buona, ha spinto le Sentinelle a sfidare il maltempo e testimoniare nel modo consueto (in piedi, per un’ora, leggendo un libro in silenzio) l’insopprimibile volontà di non soccombere alla dittatura del pensiero unico.
Da notare che quanti si erano riproposti di organizzare eventi per contestare le Sentinelle (come le cosiddette Caramelle in Piedi), hanno invece battuto la ritirata al comparire delle prime gocce di pioggia. Anche da questi particolari si può comprendere la differenza tra chi scende in piazza per difendere ciò che considera un bene prezioso e chi invece occupa le piazze solo per contestarci, animato da molta ideologia e da ben poca convinzione; così poca che è stata spazzata via da un po’ di pioggia è un po’ di vento.
Colgo l’occasione, infine. per ricordare che l’impegno delle Sentinelle in Piedi proseguirà con la promozione di due importanti incontri che si terranno a Crema presso il Centro San Luigi. Il 6 maggio alle 21 interverrà il dr. Daniele Torri – medico bioeticista e membro del comitato scientifico Scienza&vita Brescia – per trattare il tema: “Maschio e Femmina. Una realtà o una scelta?”, mentre il 30 maggio alle 17 giungerà in città Mario Adinolfi – giornalista, politico e direttore del quotidiano La Croce – per presentare il suo ultimo libro e confrontarsi su temi come l’aborto, eutanasia, matrimonio omosessuale, utero in affitto, da lui definiti come “falsi miti del progresso”.
…e le Caramelle in piedi
Le “caramelle in piedi” è stato un momento culturale fortemente voluto e promosso da Sentinelle sedute, Arcigay Cremona La Rocca e Progetto CREMA.
Prendendo come “pretesto” il ritrovo delle “sentinelle in piedi” in Piazza Duomo nel medesimo giorno e orario, sulla scia di quanto avvenuto con un altro nostro evento (frittelle in piedi), si è deciso di non esasperare una contrapposizione “tra sentinelle”, ma dare alla nostra iniziativa un respiro culturale molto più ampio, andando a coinvolgere altre attività commerciali, associazioni e gruppi di volontariato.
Dopo aver mutato all’ultimo momento (e perdendo, ahinoi, un discreto numero di partecipanti) la location da Piazza Garibaldi al circolo “Il Paniere” in Via IV Novembre causa maltempo (le nostre iniziative erano tali da esigere un luogo al coperto, a tutela dell’impianto audio, delle attrezzature del cameraman e dei tanti libri presenti in libera consultazione), abbiamo registrato la presenza di circa 70 persone, accorse per sostenerci.
Alle ore 21:00 il Sig. Antonino Pistone, autore del libro “La guerra”, ha piacevolmente discusso con noi circa i fatti che, raccontati dagli occhi del padre, volontario nella spedizione fascista in Etiopia e grazie alle sue tante lettere dal fronte, hanno meglio lasciato intendere le condizioni economiche dell’Italia nel periodo pre-bellico e su come siano state veicolate le informazioni alle truppe durante la seconda guerra mondiale. Non sono mancati, inoltre, spunti circa i rapporti di causa-effetto in relazione alla crescente presenza di fanatici terroristi proveniente da diverse zone del mondo.
A partire dalle ore 21:30, i brillanti autori Stefano Bolognini (direttore di PRIDE il mensile gay italiano e scrittore di vari libri, tra i quali forse spicca “Balletti verdi” e l’autore e speaker Stefano Paolo Giussani, anche autore del premiato libro” L’ultima onda del lago“, hanno preso la parola. Gli autori, oltre a fare riferimento ai sopra citati romanzi, hanno spiegato approfonditamente quella che è stata la lotta all’omofobia dalla seconda guerra mondiale a oggi, dandoci uno spaccato fedele di quanto molti hanno vissuto e speriamo non debbano più vivere.
Al termine dell’intervento dei due autori, hanno preso parola il presidente del “Arcigay Cremona” Gabriele Piazzoni e il fondatore delle Sentinelle sedute, Alessandro Pironti.
Anche Maria Grazia Salvi, accorsa per testimoniare la sua vicinanza all’evento culturale, ha voluto intervenire, dandoci una importante testimonianza per conto della Federazione Internazionale Uniti Per la Pelle, che tratta diverse patologie, a sostegno dei malati.
Durante l’evento si è svolto inoltre un contest fotografico legato all’hashtag#unamoredicrema che, in collaborazione con il Fotoclub Ombriano-Cremache giudicherà la foto vincitrice, donerà un anno di consulenza promozionale offerta dall’azienda Consulenze Pironti.
Importante anche la presenza del Viaggiatore Curioso, splendida libreria sita in Via XX Settembre nella nostra amata Crema, che ha offerto per la “libera consultazione”, decine di libri a sfondo educativo, per grandi e piccoli.
Non è mancata la preannunciata distribuzione di caramelle in un clima festoso e la consegna di alcuni regali per alcuni bambini portatori di malattie rare, che erano stati indicati come “ospiti d’onore” della manifestazione.
Ringraziando tutti i presenti e tutti coloro che avrebbero voluto partecipare, speriamo di poter proporre quanto prima nuovi eventi di questo spessore. (Fonte: Cremaoggi.it)
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Il 27 gennaio, come ogni anno, l’Italia commemorerà le vittime della Shoah con le celebrazioni per la Giornata della Memoria. La persecuzione degli omosessuali sotto il nazi-fascismo, dapprima negata, è ormai un elemento al quale le commemorazioni ufficiali non si sottraggono più. Anno dopo anno, infatti, si moltiplicano gli incontri di riflessione, le conferenze e i momenti di raccoglimento che ricordano l’esperienza dei “triangoli rosa” nei campi di concentramento. Come quelli che la militanza lgbt organizza presso i due monumenti che ricordano l’Omocausto a Trieste e Bologna.
È certo che anche quest’anno politici, amministratori e le più alte cariche dello Stato ci terranno a farci conoscere, con dichiarazioni rilasciate alla stampa, il loro sgomento per la violenza subìta anche da gay, lesbiche e trans e a ribadire la loro vicinanza a tutte le vittime di discriminazione condendola di retorico politichese. Ci piacerebbe che per quest’anno i politici tacessero e si limitassero ad agire per fermare la violenza anti-gay con gli strumenti legislativi che hanno a disposizione.
Perché è certo che questo 27 gennaio, ancora una volta, gli omosessuali italiani non avranno uno straccio di legge contro l’omo-transfobia e la violenza anti-gay e non ci sarà nemmeno un quarto di diritto in più per le coppie di persone dello stesso sesso a suggerire che anche la storia italiana, dopo l’incubo del nazi-fascismo, ha voltato finalmente pagina.
Per di più l’Olocausto degli omosessuali non è finito con l’Olocausto. Alle decine di casi di aggressione, violenza e minacce che registriamo ogni anno si aggiungono, nella democratica Italia e solo nella seconda metà del Novecento, a una ricerca purtroppo parziale più di centocinquanta “omocidi” efferati (l’elenco agghiacciante è sul web alla pagina: www.wikipink.org/index.php?title=Omocidi).
Quei nomi cancellati dalla Storia e sostanzialmente dimenticati ci raccontano in modo netto di quanto la memoria delle vittime omosessuali, nell’ufficialità di celebrazioni ingessate, sia ancora lacunosa.
Insomma, ricordare il 27 gennaio per dimenticare il giorno successivo è ormai diventato solo il modo più semplice, rapido e indolore per chi governa di lavarsi la coscienza. Senza agire.
Tacciano allora i politici e ci restituiscano, approvando leggi democratiche che attivamente possano ostacolare il pregiudizio e l’odio anti-gay, una commemorazione concreta e coerente a perenne ricordo del troppo sangue lgbt versato fin qui.
È giusto ricordare che i crimini nazisti sono nati dall’assenza di democrazia. Ma, al di là delle parole di vicinanza, è giusto anche ricordare che l’incapacità di garantire il compimento della democrazia nei diritti e nella tutela dei gay di chi ci ha governato fin qui è complice dello stesso odio.
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Pride celebra quest’anno i suoi 15 anni. Abbiamo deciso di festeggiarlo offrendogli la copertina, ma non come personaggio dell’anno, ci mancherebbe altro. È giusto un piccolo riconoscimento a una rivista che resiste, seppur con un numero ridotto di pagine, nonostante l’enorme crisi che sta vivendo la stampa cartacea. E se ben più blasonati (a seconda dei punti di vista) media cartacei chiudono, come “L’Unità”, “La Padania”, “Europa”, consideriamo l’essere arrivati fin qui, e la volontà di andare avanti, un importante successo.
Tramontata purtroppo l’esperienza di Babilonia, Clubbing, AUT, G&L e troppi altri e mutato il target di riferimento di Lui Magazine, questo mensile rimane unico nel panorama delle riviste cartacee gay. È vero, c’è la stampa generalista che ormai ci dedica attenzione, ma è la stessa attenzione di chi, a quarant’anni dalla nascita dell’omosessualità moderna scopre per la prima volta che si può essere serenamente gay e visibili o che abbiamo figli, e questo i lettori di Pride lo sanno da anni. Ed è la stessa informazione (chiamiamola così) che considera i vescovi interlocutori principali per parlare di omosessualità piuttosto che i diretti interessati. Non va meglio con la tv, che non va oltre una rappresentazione macchiettistica dell’omosessualità e che insiste nel raccontare soltanto gay che soffrono. C’è poi Internet, probabilmente il futuro dell’informazione, ma, per ora, un paradiso di occasioni ancora in attesa di finanziatori. Grandi siti gay italiani sono infatti passati di mano e nell’insieme si nota un arretramento generale nell’offerta virtuale di analisi e contributi esclusivi a favore di cronaca spicciola, gossip e ‘manzi’ con, fortunatamente, alcune eccezioni.
Ma il bisogno di approfondimento e dibattito gay esiste eccome. Lo dimostra lo sbarco sul web di “Pride” assunto quando ho preso in mano, un anno fa, il timone di una rivista in sofferenza, ma con radici solide grazie al lavoro dei miei predecessori, alla caparbietà cocciuta dell’editore e alla pazienza e grande preparazione di collaboratori che lavorano per un pugno di noccioline.
Questo mensile oggi può essere comodamente letto online (www.prideonline.it). E solo l’ultimo numero ha guadagnato, grazie anche a una maggiore attenzione ai social media, oltre cinquemila lettori, e cioè il numero degli abbonati di Babilonia nei tempi d’oro, che si aggiungono a coloro che leggono il giornale nei locali sparsi sul territorio nazionale.
Insomma l’obiettivo di liberare il senso di bellezza profonda che contiene la parola omosessualità annunciato negli anni Settanta dall’editoriale del primo numero di Fuori!, la prima rivista cartacea per omosessuali mai pubblicata in Italia, continua. Qui e sul web. Auguri Pride.
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Ecco l’intervista a “Gayburg” sui 15 anni di “Pride.
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È attraverso una copertina celebrativa che Pride sta festeggiando il suo 15° compleanno. Distribuito gratuitamente in numerosi locali gay e gay-friendly, si tratta del mensile gay cartaceo con la più ampia tiratura d’Italia.
Fondata nel 1998 da Roberto Schena, la rivista è stata diretta sino al 2008 da Giovanni Dall’Orto, uno scrittore e giornalista proveniente dalla redazione di “Babilonia”. Nel tempo le sue pagine hanno ospitato i contributi di firme come Gianni Rossi Barilli, Platinette, Francesco Gnerre, GiovanBattista Brambilla, Vincenzo Patanè e Andrea Pini. Dal 2008 al settembre del 2013 le redini del giornale sono state affidate a Gianni Rossi Barilli, mentre dall’ottobre 2013 il direttore è Stefano Bolognini. Ed è proprio lui che abbiamo incontrato per parlare dell’importante traguardo raggiunto.
Pride festeggia 15 anni. Che cosa significa per te questo traguardo?
Quindici anni per una pubblicazione gay cartacea rappresentano un piccolo, grande traguardo, soprattutto in un momento enorme crisi per tutta la stampa e di sofferenza anche per media gay virtuali. Sono soddisfatto: quando un anno fa ho accettato di dirigere la rivista non era scontato che arrivassimo fin qui. E la scelta di renderla disponibile anche on line, che, con il numero di novembre, ha raddoppiato il numero di lettori, dimostra che è vivace la richiesta di informazione e approfondimento sui temi lgbt. Ma visto che il futuro della stampa in genere non è, per ora, immaginabile resta un solo obiettivo e cioè fare tutto il possibile per non spegnere una voce che racconta l’omosessualità. Sarebbe una grave perdita.
Editorialmente parlando, quali sono le scelte che rendono “gay” una pubblicazione?
Scriviamo da gay, di gay e per gay. Il panorama è cambiato e oggi i media generalisti raccontano anche l’omosessualità. Spessissimo purtroppo manca loro un punto di vista dall’interno. È sbagliato, per esempio, chiedere conto dei diritti gay solo ai cardinali e non ai diretti interessati. Siamo poi ancora a un giornalismo che si commuove per il coming out in famiglia. È giusto ovviamente, ma su questo abbiamo dato e ci sono novità e approfondimenti che la stampa ignora. Se ci commuoviamo oggi è per le nonne e i nonni che hanno nipotini grazie ai loro figli gay che hanno scelto il percorso dell’omogenitorialità. Dov’è poi il dibattito sulla stampa in genere su come ostacolare le spinte antigay delle destre e dei leghisti? Dove possiamo poi leggere l’esperienza delle nostre notti nei locali del sesso? L’idea alla quale si ispira la stampa gay al suo esordio è quella di liberare il profondo senso di bellezza che c’è nella parola omosessualità. E siamo ancora molto lontani dall’esserci riusciti.
Alcuni detrattori sostengono che le pubblicazioni gay possano creare ghettizzazione. Condividi questa tesi?
Una rivista di giardinaggio, un saggio di fantascienza o un mensile ad uso esclusivo degli amanti di scacchi ghettizza i suoi lettori? La teoria del ghetto è un facile ritornello che si ripete senza uno straccio di analisi sul suo significato. Le pubblicazioni gay sono un luogo nel quale una comunità di persone condivide interessi comuni insieme a proposte culturali e di diritti umani. Solo chi non ci considera una comunità, e ci vorrebbe soli e isolati, può definire ghetto il dibattito e gli argomenti che proponiamo. Certo non è ghettizzante, per semplificare, l’intervista che pubblicheremo a gennaio al noto vaticanista Marco Politi sul rapporto tra chiesa, papa Francesco e omosessualità. Mi auguro solo che sia in grado di indagare più e meglio dei contributi della stampa generalista, che hanno semplificato molto sostenendo che la Chiesa ha ormai aperto agli omosessuali, la questione anche sulla base di anni di dibattito che conosciamo da molto vicino.
Da anni si parla di una crisi dell’editoria italiana ed anche molte riviste gay ne sono state colpite. Cinque milioni di abitanti dichiarano di non leggere giornali o riviste e gli esperti lamentano un mancato ricambio generazionale fra i lettori. Credi che sia una situazione irreversibile?
No, ogni rivoluzione della stampa ha creato più lettori e scrittori. Sul web leggiamo e scriviamo di più anche solo scorrendo i post di Facebook. E questo è un bene. Non si leggono i giornali, ma è anche una loro colpa vista l’enorme parzialità nel raccontare i fatti. La stampa italiana ha un’enorme problema di prossimità ai partiti, e ne è anche direttamente o indirettamente finanziata. La realtà non è più nei quotidiani ma è altrove. Chi ha scelto di raccontare altro ha desertificato le edicole. Non mancano i lettori in Italia, manca un pluralismo informativo slegato dai comunicati stampa di partiti e associazioni.
Ritieni che la carta stampata sia un doppione del web o le due cose possano risultare complementari?
I costi del web sono infinitesimali rispetto a quelli della stampa. Immagino che il futuro ci riserverà ancora più web di quello che stiamo masticando oggi. Il cartaceo non morirà, anche solo per conservare testi di valore.
Siamo in una fase intermedia e per Pride, che esce il primo del mese, mi sono posto il problema dell’invecchiamento delle notizie e della simultanea rapidità del web. Ho chiesto ai collaboratori di affrontare argomenti che anticipino i contenuti del web o che non esistano in rete e, rispetto al passato, stiamo provando a offrire più analisi e commenti piuttosto che cronaca. Senza dimenticare contenuti più leggeri ma non per forza acchiappa “mi piace” e le proposte culturali.
Questa cosa non può essere equivalente sul web su cui passa per lo più la notizia del giorno perché il Pride cartaceo può pagare, grazie alla pubblicità, esperti. Non c’è informazione di qualità se non siamo disposti a pagare. Anche poco. Il problema del web è che, per ora, nessuno sembra intenzionato a pagare le informazioni.
A tuo parere, com’è cambiato il movimento lgbt italiano negli ultimi 15 anni?
Oggi il movimento lgbt restituisce esattamente, come in uno specchio, l’immagine di quest’Italia in perenne crisi. Ma per il movimento non è una crisi di crescita. Quello di oggi ha esaurito il suo compito, pur non ottenendo risultati tangibili in termini di leggi, e cioè far uscire l’omosessualità dall’invisibilità e porre il problema dei diritti in ambito nazionale. È un risultato straordinario di cui va dato merito ai tanti che si sono impegnati.
Più voci che ho ospitato su Pride immaginano di voltare pagina e rifondare il movimento. Non è un’operazione da fare però a tavolino, ma sono convinto che da questo movimento al capolinea emergerà qualcosa di assolutamente nuovo. Guardo con interesse l’esperienza dei Sentinelli scesi in piazza in ordine sparso contro l’omofobia delle Sentinelle in Piedi rispondendo, in qualche modo, a un movimento pigro e cementando su dinamiche ormai istituzionali. Si stanno coordinando sul web e questa è una novità. Sono vitali poi gruppi sportivi, canori e che offrono socializzazione alternativa alle persone lgbt. Insomma, il futuro ci riserverà sorprese, e notizie da raccontare su Pride…
Fonte: http://gayburg.blogspot.com/2014/12/pride-festeggia-i-suoi-15-anni.html#ixzz3M9UsZ33m
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